C’era una volta un Palazzo.
Era uno di quelli belli, imponenti, con un teatro di Corte ed una fontana al centro del cortile. E una chiesetta anche. Senza tacere degli arazzi, dei dipinti, degli stucchi, dei tendaggi, della sala dei balli, dei busti e del prezioso mobilio. Il Palazzo guardava dall’alto una cittadina che sorgeva ai piedi dei monti del Matese, ne scrutava i vicoli, ne respirava le acque del fiume Torano, ne proteggeva gli abitanti e stava a guardia della immensa pianura del Medio Volturno. Ricchi duchi e bellissime duchesse vi soggiornarono e se ne innamorarono. Vi abitarono i Gaetani D’Aragona e i Sanseverino, vi soggiornarono ospiti illustri e tra le sue mura riecheggiarono le note della musica di Haendel. Distribuì bellezza, cultura, arte e letteratura.
Le sue stanze vissero i fasti voluti della sua più grande mecenate, Aurora Sanseverino, che ne fece centro di cultura e vi trasferì maestranze e artisti sottraendoli, anche solo per una sera, alla bella e vicina Napoli.
Tra balli di corte, vestiti di broccato, opere sceniche di assoluta bellezza, pittori, poeti, musicisti, il Palazzo visse la sua epoca migliore.
E oggi, come un vecchio canuto e stanco, il Palazzo sta chino tra i vicoli del borgo, i suoi occhi spenti sembrano non guardare più neppure la pianura. Imposte ormai chiuse e comignoli crollati, a mo’ di strappi nelle vesti ormai logore, ne segnano il tempo che, incessante, scorre tra le spoglie mura. Il vento è il suo nuovo padrone, la pioggia la sua avversa mecenate e i lampi i suoi soli guizzi di luce. Stanze vuote dove riecheggia solo il ricordo, troppo lontano, del tempo che fu. Non una nota, non l’odore dell’olio e della trementina di un pittore al lavoro. Non il suono dell’acqua a sgorgare furbetta dalla fontana delle Aquile.
Dimenticato e rinnegato se ne sta lì da solo; le sue mura pagine bianche per frasi lasciate da chi affida alla pietra le sue pene d’amore, incosciente della storia che vi scorre, i suoi anfratti comodi nidi per rondini in cerca di calore, i suoi vetri rotti pensile giardino di rododendri in cerca di beltà. E intorno silenzio. Silenzio.
C’era una volta un Palazzo. Era uno di quelli belli, imponenti, con un teatro di Corte ed una fontana al centro del cortile.
Giovanna Mastrati
Lentamente cade la pioggia
sui lineamenti tuoi,
distrutti e desolati.
Nell'assordante silenzio
dei tuoi luoghi dimenticati,
soffri,
avvolta dall'indifferenza dei passanti.
Tu, che aspetti immobile
nel tuo eterno mutare,
vittima del tempo
che scorre tiranno.
Resisti!
Perché se molti ti hanno abbandonata
alcuni ancora ricordano
i tempi in cui fiorivi
sulle ridenti pendici.
E allora, se continuerai
coraggiosamente a resistere,
quei pochi diverranno molti
e tu ritornerai a splendere.
Lentamente un raggio di sole
trapassa il cielo
e tu, rinasci!
Annabella Ciardiello
(diritti riservati)
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